Libri al Fresco – La Biblioteca Malatestiana su Radio 3 Scienza

Mercoledì 10 giugno la trasmissione Radio3Scienza ha mandato in onda un servizio sulla Biblioteca Malatestiana di Cesena.

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Triceratopo

TriceratopoDel battere il pugno sul tavolo: un sottotitolo che parla da sé, e forse, più che una dichiarazione esplicita della poetica di un autore, è l’espressione di un modo di agire, e reagire, nella vita, con rabbia, forse con durezza, ma soprattutto con disillusione.
Se la politica non riesce a cambiare la società, e la società a portare avanti una nuova generazione di politici, e se l’unica certezza che rimane assomiglia a un urlo nel deserto, i versi di Triceratopo, di Kristian Fabbri, sembrano una voce senza eco, aspra e tagliente, che non risuona ma vorrebbe comunque arrivare lontano.
E non potendo oltrepassare nessun paesaggio, si trasforma in paesaggio, fin nelle sue componenti essenziali, e in spazio, fatto di linee e di parole viaggianti, nel tentativo, remoto, di giungere all’orecchio di un “Dio qualunque”. Volgendo direttamente allo spirito, l’ultima lirica esprime, quasi, con ritrovata speranza:

“Beati i miti / ché erediteranno la terra / e la vorrei questa terra / così da visitarne ogni
paese, / l’eternità a scoprire ogni sasso / ogni albero divenuto forma / storia e coscienza / da mano d’uomo, / racconto d’oneri, / ed onori di quotidiane / soluzioni e diletto.”

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Drammaturgia Carnot

Carnot - FersenProva drammaturgica su Carnot,
cercasi compagnia teatrale

 

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La solitudine dell’architetto

Settimana scorsa si è svolta la Festa dell’Architettura a Forlì, meritoria iniziativa organizzata dagli Ordini degli Architetti di Rimini, nella quale sono stati coinvolti gli studi di architettura locali, così da mostrare alla cittadinanza quello che viene costruito, ristrutturato modificato nel territorio locale, una mostra locale, ed un dibattito incentrato anche sul consumo di suolo. Venerdì ho assisto ad una conferenza organizzata dagli Ordini degli Architetti di Rimini, dov’era presente MoDus Architetti che hanno illustrati i propri progetti.

L’introduzione dei crediti formativi ha, obtorto collo, aumentato le occasioni di confronto e conoscenza sul sull’architettura, sul fare architettura, sulle caratteristiche dell’architettura.

Oggi leggo questo articolo “DI OGM, spalline e direttori di giornale” che con l’architettura non ha nulla a che vedere, ma pone l’accetto sull’onesta intellettuale e su come gli argomenti, in questo caso relativi a fatti scientifici, sono “raccontati” dai giornalisti, da chi ha il compito di raggiungere tutti gli strati della cittadinanza. Il Dibattito sugli OGM ha, secondo me, forti connotazioni politiche, di visioni del mondo contrapposti, rispetto ai quali le questioni meramente scientifiche sono strumento, o pretesto, per l’una e l’altra visione. L’utilizzo di argomentazione scientifiche, con linguaggio scientifico, avvita la discussione tra gli specialisti.Vinceranno i fatti, come è successo con Galileo e con Planck.

Nell’ambito della mia professione, nell’ambito architettonico, noto lo stesso processo di avvitamento (o quantomeno il rischio di tale avvitamento) nel trattare e divulgare l’architettura. Alle mostre ed ai convegni di architettura partecipano gli architetti, che parlano di cose architettoniche in maniera architettosa, si affrontano i dettagli tecnici, la composizione, la riduzione dell’impatto, si usano terminologie-slogan “Rigenerazione”, “Riqualificazione”, ed anche “Riduzione del consumo di suolo”, “Consumo zero”,

e fuori da questo linguaggio specialistico, all’estasi dell’estetica, c’è la realtà e la chiusura.

La chiusura della discussione rispetto alle altre cose che accadono nel mondo e che hanno a che fare con l’architettura, le scelte politiche (con l’incapacità o difficoltà dei politici a comprendere il linguaggio architettonico che non gli è proprio), le ricadute nell’uso e trasformazione della città e del territorio dagli edifici, le possibilità tecniche, le relazioni con altre conoscenze scientifiche, tecniche, storiche,

così mentre MoDus descriveva un progetto di residenza per persone con malattie mentale, descriveva/raccontava i criteri progettuali, nel racconto non vi erano riferimento, correlazioni tra le proprie scelte con la malattia, le necessità dei malati, o come questi percepiscono la propriocezione della sequenza degli spazi, la discussione verteva esclusivamente su criteri estetici, eppure sono argomenti interessanti,

divagando con gli aneddoti,

alla Festa dell’architettura, nella mattina, è stato in alcune slide il progetto di Renzo Piano a Trento, il Quartiere le Albere,

ma quando ci sono stato ho notato che quasi tutte le piante sui balconi erano secche, gli impianti erano a vista all’estradosso nei solai al primo piano, ed il quartiere quasi disabitato; e nel pomeriggio un relatore, non ricordo chi, ha citato il progetto di Piano, affermando che le tipologie ed il taglio degli appartamenti del Quartiere non era quello che piaceva ai cittadini di Trento, ed i cittadini non li hanno comprati. Due frasi che hanno demolito l’intero discorso del relatore della mattina. Il progettista non aveva tenuto conto del contesto locale, una sola affermazione ha mostrato come la fiducia nella tecnica (lì dove in architettura la tecnica ha assunto una connotazione fortemente estetica, e non tecnica) non è sufficiente, e spiega la sensazione di abbandono che si ha visitando il quartiere. Bello, ma però ….

L’architettura (manteniamo sto termine vago) dovrebbe dialogare con gli altri “saperi”, in particolare con quello scientifico (ma forse per mia deformazione persone e per già sovrabbondante deriva “umanistica”) e necessità, disperatamente, di divulgatori che non parlino solo in linguaggio “architettonico”, che non affrontino solo questioni estetico-architettoniche, che non si affidino in maniera assertiva agli slogan, o alle parole d’ordine, che spieghino l’architettura a qualcuno che non sia un architetto,

altrimenti porzioni di città e di territorio, e le questioni architettoniche, rischiano di essere trattati con lo stesso interesse che si ha nell’abbinare il colore delle tende a quello del sofà.

Kristian Fabbri

(Riproduzione riservata. Il materiale contenuto è consultabile e riproducibile a patto di citarne fonte ed autore ed i relativi link)

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Color Cachi

cachiDurante il servizio militare, dopo il giuramento, nell’ultima settimana di un Agosto mite, nell’attesa di andare alle varie destinazioni, alla mia Squadriglia venne dato un compito. Eravamo otto uomini, selezionati, a gaso ma selezionati, ed eravamo, tutti ed otto, ancora vestiti con la maglia, a maniche corte, verde ed i pantaloncini corti, color Cachi.

I pantaloncini color cachi non fanno parte della divisa estiva dell’esercito, e nemmeno di quella invernale, ma, a causa di un errore nella fornitura, non erano ancora arrivate le divise estive, e dato che, per le condizioni metereologiche di agosto, non era possibile utiilizzare le divise invernali – era fresco e ventilato, ma non così fresco – il Comando decise di ordinare seicento pantaloncini corti color Cachi. O forse li avevano già in magazzino.

Seicento ragazzi vestiti in calzoni corti color Cachi, davano, all’occhio, una ambientazione coloniale, una piccola copia dell’Etiopia, degli anni trenta, con i militari in attesa di esser richiamati in patria. L’odore di benzene che arrivava dalla raffineria, poco distante dalla caserma, aumentava la sensazione di essere in una parte del mondo, e del tempo, dimenticato.
Era una giornata ventosa, ed i nostri capelli non ne risentivano particolarmente.
Il compito assegnatoci era semplice, nell’ottica di garantire alla Caserma ed alla piazza d’armi, ordine e disciplina, dovevamo spazzare le foglie cadute sul piazzale d’armi. Raccogliele e buttarle.
A fine agosto, gli alberi che decoravano la caserma, dei castagni, avevano pensato di anticipare la caduta delle foglie, e così il piazzale era invaso da queste foglie marrone chiaro, un colore talmente simile al color Cachi dei pantaloncini, da far sembrare una scelta ponderata, quella degli Alberi di far cadere le foglie, come se nno ci volessere far sentire soli, gli unici in quell’orizzonte bianco sporco tra l’intonaco dei muri e lo sterrato della piazza.

Il vento continuava a spostare le foglie da una parte all’altra della piazza d’armi.

Ci vennero affidate la armi: scope in saggina, con le quali dovevamo raccogliere in mucchi le foglie, per poi inserirle nei sacchi neri.
Nel bianco sporco dello sterrato della piazza, si distinguevano macchie color Cachi,  verde e marrone chiaro, in movimento, gruppi di foglie seguite da uomini, metà verdi, metà beige, con delle scope in mano e dei sacchi neri, usati come retini da farfalle giganti, che si stagliavano come toghe nere di preti nella neve.

Il vento continuava a spostare le foglie da una parte all’altra. E noi dietro. Da un’altra ad una parte. E noi dietro.

Il tutto era ridicolo, questi otto uomini, che poi erano otto ragazzi, in pantaloncini corti, a sottolineare il fatto di essere ragazzi, con una scopa di saggina in mano, come un’arma giocattolo, che inseguivano foglie trasportate dal vento, una immagine anche poetica, con l’unico obiettivo di riunirle in un mucchio ed inserirle in un sacco nero.

Ed il vento continuava a spostare le foglie da una parte all’altra della piazza.

Ogni nostra strategia per combattere il nemico fogliante non riscoteva nessun successo. Non saremmo mai riusciti a fare ordine, forse riuscimmo a raccogliere un sacco di foglie, nel senso di un sacco solo, non di tante foglie.
In quel momento non pensavo che l’immagine di questi otto uomini, che lottavano contro il vento, la natura, solo per obbedire ad un ordine, – un ordine dato solo per impiegare il tempo, per ingannare l’attesa – , non avrei mai pensato di quanto, nella vita, nella quotidianità, avrei svolto attività altrettanto vane e ridicole, di quanto l’esercito sia riuscito ad esercitarmi – in maniera formativa e profetica – in tali, inutili, attività.

Kristian Fabbri
(Riproduzione riservata. Il materiale contenuto è consultabile e riproducibile a patto di citarne fonte ed autore ed i relativi link)

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Che cosa c’entra l’architettura con i carri armati ?

risiko

Agosto 2014. In Iraq fondamentalisti islamici massacrano le comunità cristiane. L’instabilità dell’area avvantaggia i produttori di petrolio dato che la mancanza di un governo Iracheno, riduce la capacità di estrazione, per la legge del mercato, per la legge della domanda e dell’offerta ad una minore offerta, la volatilità del prezzo delle commodities dell’energia, facilita le speculazioni finanziarie. Le rivendicazioni religiose, alimentano le pance vuote dei fondamentalisti.

Agosto 2014. In Libia, il disordine del paese e le lotte tra clan favoriscono l’immigrazione clandestina contrastata dall’operazione Mare Nostrum.

Agosto 2014. In Ucraina, alla frontiera, un convoglio di aiuti umanitari attende l’autorizzazione ad entrare nel paese per portare aiuti e derrate alimentari, ultima fase di una battaglia tra Russia ed Ucraina, tra Russia e paesi occidentali, in particolare con l’Europa e la Germania, legata a doppio filo con il cordone ombelicale delle pipeline del metano dall’Ucraina. Tace Israele, i palestinesi, e la Siria. Silenzio dalla Cina che ancora non ha pipeline dirette con la Russia, ma già ha pensato di stringere le mani agli oligarchi russi. Tace il petrolio ceceno e nigeriano.

Di fronte a questo silenzio, io, che mi occupo di architettura, di edifici di cosa dovrei parlare ? è agosto, è passato un luglio instabile, meteorologicamente instabile, indifferente alle guerre, al petrolio ed al gas metano. Lo stesso gas metano che, fra qualche mese, userò per alimentare la caldaia, una caldaia tradizionale, con camera stagna ma non a condensazione, buttando una percentuale importante del gas, una percentuale di quella guerra, nel fumo di combustione. Così come ora utilizzo parte dell’energia elettrica prodotta dalle centrali termoelettriche alimentate a gas metano, per la maggior parte.

L’Italia, lungimirante, è il paese con la più estesa metanifera del mondo, quasi il 90% del territorio italiano è servito direttamente dalle pipeline del gas. Nelle cucine degli italiani, insieme agli spaghetti ed al pomodoro, alle orecchiette o alla ribollita, brucia il gas che arriva dalla Norvegia, dalla Libia, insieme ai migranti, da Ravenna, per distrarre i turisti sulle motonavi, e dalla Russia. In buona parte, dalla Russia.

I-Limiti-SviluppoLa rete metanifera si è estesa durante il boom economico, ed è stata completata, per la maggior parte, negli anni settanta. In contemporanea con la prima legislazione in materia di contenimento energetico del 1976. Ironia della sorte, quando fu possibile vendere il gas a tutti, la nazionalizzazione delle imprese energetiche, portò il tutto al monopolio. L’edilizia ne approfittò subito e così insieme al frigorifero ed alla televisione, entrarono in casa la cucina economica a gas e le caldaie, dapprima centralizzate e poi, dopo il 1991, autonome. Milioni e milioni di caldaiette vennero installate per bruciare il gas naturale. Gli impianti autonomi hanno il vantaggio di pagare solo il gas che si utilizza, e così se non ci sono abbastanza soldi è possibile decidere rimanere al freddo, rimanere in una stanza dove le pareti, un doppio forato uni, da trenta centimetri, se va grassa di aver messo tre centimetri di isolante,  sono così gelate che è come avere le finestre aperte. E le finestre aperte non bastano nelle giornate afose di luglio e di agosto, e così, ancora una volta si ricorre agli impianti, agli split system, o condizionatori autonomi, per fare fresco. Chi può installarli, e consumare la corrente elettrica estiva. Le case come gli uffici e come i centri commerciali, energia per supplire alle mancanze dell’edificio, dei muri troppo sottili, delle coperture che assorbono il calore diurno per surriscaldare gli ambienti di notte. Trascurati nella progettazione, così attenta alle dimensioni dei muri e della rendita, gli impianti termici, si aggiungono continuamente, riscaldamento, raffrescamento, negli edifici esistenti sono come piante rampicanti, tubazioni che si inerpicano, dall’esterno verso l’interno, verso cavedi e locali tecnici. Grandi quanto basta a supplire alle ridotte dimensioni dei muri, delle copertura, quanto basta a sostituire il progetto dell’architettura. Gli impianti tecnici sono una possibilità offerta dalla tecnica per integrarsi con l’architettura, quando diventano una necessità per supplire alle de-efficienze degli architetti, a quello che l’architettura non è più in grado di fare, se si limita ai soli muri.

vinacciaUna progettazione accurata può ridurre il fabbisogno di energia per riscaldare e per riscaldare, consente di utilizzare sistemi più sofisticati, come il solare termico o le pompe di calore, ma questi funzionano (bene) solo quando il fabbisogno energetico è ridotto, o meglio adeguato alle esigenze del contesto, della città, del territorio, del clima o di quello che, con un certo romanticismo di quanto studiavo, veniva chiamato Genius Loci, terminologia buttata nel cestino di fronte alla realtà, e non solo quella professionale, ma che scopro essere presente nei testi e manuali di architettura degli anni sessanta del XX secolo, in particolare nella letteratura tecnica statunitense (eh sì quegli spreconi degli americani) ed in Europa, ma anche negli anni trenta, ed a fine ottocento, e volendo anche prima in Leon Battista Alberti ed in Vitruvio, se vi piace questa tassonomica versione romantica della manualistica. Solo i Manuali del CNR e del Neufert, con l’algebrica necessità del primo dopoguerra, di fornire poche informazioni e costruire in fretta, se ne sono dimenticati.

La presa di corrente e la fiamma non sono altro che la parte terminale di un lungo percorso, che scavalca nazioni e popoli, che accavalla storie e territori, un percorso protetto e combattuto dai carri armati, così vale la pena pensare che se si riduce (anche) la domanda di energia dovuta all’architettura, si riduce (anche) il numero di carri armati.

Per questo l’architettura ha a che vedere con i carri armati, non è una moda, non è (solo) una questione termodinamica (che poi è la mia fissa), è una questione architettonica, una questione di civiltà.

Kristian Fabbri
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28.07.2014 – Diario dall’A14

Oggi, mentre tornavo da Bologna, in autostrada, mi è tornato in mente tutte le volte che ho visto la stessa strada dal Cacciamali, durante il militare, per andare a suonare ai giuramenti a Senigallia, e quanto quel periodo sia stato inutile, non solo per l’astio verso i giovani commilitoni, così eccitati dall’essere fuori casa da non avermi fatto dormire, ma anche perchè è stato il periodo più lungo, in cui non ho avuto a che fare con donne, non che ce ne fosse che, ma dieci mesi, non ci avevo mai pensato, così mi son venute in mente quelle che ho conosciuto, senza nomi o volti, alcune le porto dietro ancora, da più della metà della mia vita, altre da qualche settimana, ed è come se fosse da sempre, altre le ho frequentate per qualche ora, mese, anno, e poi perse, diverse età, le loro e la mia, diversi contesti, e quello che mi è venuto in mente, al confronto con i dieci mesi maschili, è la loro capacità, se vogliono, di gestire il tempo in maniera diversa, non son sicuro se potrò mai abituarmici del tutto, ma hanno la capacità, dopo silenzi, strappi, idiozie, hanno la capacità di rammendare, ma non l’immagine della servetta china sui vestiti, ma il rammendare in senso più generale, la capacità, se vogliono, di cercare di rimettere insieme, se vogliono, i lacerti di un discorso, come se non si fosse interrotto, questa capacità mi manca, per questo confido siano loro a trovare i lembi strappati, e poi son passato al “rammendo delle periferie”, lo slogan del Senatore Renzo Piano, uno slogan e come tale sintetico, persino banale, ma in quel rammendo, nella capacità di ricucire tempi diversi, errori e strappi del territorio c’è la sfida dell’architettura, l’architettura una parola declinata al femminile, che dovrebbe essere sintesi della capacità di organizzare, ma che vede come protagonisti gesti virili, risolutivi, immediati, nel tempo e nello spazio, e forse il rammendo richiede competenze che ancora non sono date al governo della città, alla progettazione degli edifici, un tempo che abbia in se la capacità tecnica e la pazienza, che si eserciti (evidentemente sta cosa del militare era ancora nella mia testa), dicevo che si eserciti nella durata,

Kristian Fabbri
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Comfort e Bambini in età prescolare – La ricerca svolta

I risultati della ricerca svolta nella tesi di Laurea sull’Asilo Diana di Reggio-Emilia.

Nel presente articolo si illustra l’attività sperimentale svolta presso una scuola d’infanzia in merito alla simulazione del comfort sia sotto il profilo strumentale, sia mediante questionari rivolti direttamente ai bambini.

In present paper we report a results of a monitoring survey about pupils thermal comfort perception carried out in Asilo Diana a kindergarte located in Reggio-Emilia.

il link l’articolo è a pg.88:

http://issuu.com/edicomedizioni/docs/ps33_completo?e=2058319/5997134

 

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La Biblioteca Malatestiana sul Resto del Carlino – Cesena

Articolo di Francesca Siroli sulla ricerca svolta presso la Biblioteca Malatestiana pubblicato sul Resto del Carlino – Cesena 8 dicembre 2013. Qui il pdf.

RDC_CESENA_20131208_45-Malatestiana

 

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“Building don’t use energy: people do”

BACSIn questo post riporto (tradotto da me) estratti dell’articolo “Building don’t use energy: people do” di Kathryn B.Janda (Environmental Change Institute, Oxford university) pubblicato su Architectural Science Review 54:1 del 2011.

[tra parentesi quadre il mio “raccordo e commento”] 
Nel leggere la letteratura scientifica è raro trovarsi di fronte ad un titolo efficace come questo: Gli edifici non usano l’energia: le persone la usano! ed in effetti è così, l’human behaviour il comportamento (e l’educazione) degli utenti ha un ruolo fondamentale sui consumi energetici degli edifici. La difficoltà consiste proprio nello studiare e misurare l’aspetto “sociale-comportamentale” degli usi energetici.

Nel paragrafo “Use and misure of buildings” riporta:

Come le persone scelgono di usare gli edifici ? Vi sono un’ampia gamma di teorie su come gli individui decidono di utilizzare le proprie case. Alcune di queste teorie sono basate su un “information deficit model”. Altri studi assumono che le abitudine, pratiche e norme, sono la combinazione di aspetti sociale e fattori culturali non facilmente individuabili. Nella sfera della politica e della comunità dei ricercatori in ambito energetico  il modello dominane è l’ “information deficit model”. La consapevolezza e l’educazione son i principali strumenti per dominare il deficit di informazione e correggere le abitudine degli abitanti. (…) In molte abitazioni, tentare di comprendere gli usi energetici in modo adeguato è come se si facesse shopping in un negozio di alimentari, senza conoscere i prezzi di ciascun prodotto e ricevendo il conto solo alla fine del mese. In assenza di informazioni specifiche, i residenti che chiedono di ridurre i propri consumi fanno fatica a valutare i costi ed i benefici delle proprie azioni. Le ricerche svolte in differenti contesti, da 25 anni a questa parte, evidenziano che se si fornisce un feedback sugli usi energetici che riduca il gap di informazione sia ha una riduzione dei consumi.

Il risparmio può andare dal 5-15 % nel caso di feedback diretto a 0-10 % nel caso di feedback indiretto.

(…) Sebbene il feedback approccio sia utile, esistono altri fattori che influenzano l’uso di energia negli edifici. [L’approccio proposto] suggerisce che le abitudini degli usi energetici delle persone sono di tipo “idiosincratico” piuttosto che ragionevole e prevedibile. (…)

Un altro importante pezzo del puzzle per comprendere gli usi energetici è il basso livello di conoscenza esistente riguardo le questioni energetiche. Il “information deficit model” ritiene che le persone sono cognitivamente preparate a partecipare nelle decisioni energetiche.

[nel paragrafo successivo evidenza che è importante migliorare il feedback degli utenti, ma al tempo stesso è necessario aumentare la comprensione pubblica dell’ambiente costruito, l’educazione riguardo alle prestazioni energetiche degli edifici ovvero l’educazione attraverso energy meters (contatori) e monitors. In sintesi considerare gli edifici come strumento pedagogico]

Building as Pedagogy

L’educazione dovrebbe partire a scuola. Nonostante pochi studenti diventino progettisti professionisti, tutti gli studenti usano gli edifici e continueranno a farlo fino a che vivono. (…) David Orr, per esempio, usa la frase “architettura come pedagogia” per descrivere la convinzione che si deve insegnare a partire dagli edifici (from building)e non solo negli edifici (all’interno di essi). [Nella situazione attuale] la popolazione tende a considerare gli edifici come un oggetto statico piuttosto che come un sistema dinamico.

(…) La storica dell’architettura USA Sarah Goldhagen suggerisce che la qualità degli edifici USA potrebbe essere migliorata se nelle scuole secondarie si insegnasse architettura piuttosto che le classi d’arte. [almeno io l’ho capita così, già il fatto che si insegni arte è positivo]. La proposta di Goldhagen ha come obiettivo quello di aumentare la comprensione della qualità estetica dell’architettura, ma iil punto è che gli studenti hanno anche molto da imparare sulla buona costruzione del’ambiente costruito

[è come se in italia si insegnasse il paesaggio o la lettura del territorio]
[il paesaggio non la retorica difesa dell’art.9 della Costituzione, passeggiare nella città e leggere il territorio, appropriarsene averne cura e non solo deportare gli studenti in gite scolastiche all’interno dei musei]
[se non si conosce il proprio territorio come si può averne cura ? ]

L’architetto Robert Kobet suggerisce che nelle scuole secondarie le dotazioni ed attrezzature possono essere progettate in funzione di una estensione del curriculum (scolastico). Per esempio i dispositivi di schermatura (tende, aggetti e simili) possono dimostrare la geometria del sole (del percorso solare) e potrebbero contribuire a stimolare l’insegnamento della matematica, della fisica e delle altre scienze.

[fine articolo]

Kristian Fabbri.  

(Riproduzione riservata. Il materiale contenuto è consultabile e riproducibile a patto di citarne fonte ed autore ed i relativi link)

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