Triceratopo

TriceratopoDel battere il pugno sul tavolo: un sottotitolo che parla da sé, e forse, più che una dichiarazione esplicita della poetica di un autore, è l’espressione di un modo di agire, e reagire, nella vita, con rabbia, forse con durezza, ma soprattutto con disillusione.
Se la politica non riesce a cambiare la società, e la società a portare avanti una nuova generazione di politici, e se l’unica certezza che rimane assomiglia a un urlo nel deserto, i versi di Triceratopo, di Kristian Fabbri, sembrano una voce senza eco, aspra e tagliente, che non risuona ma vorrebbe comunque arrivare lontano.
E non potendo oltrepassare nessun paesaggio, si trasforma in paesaggio, fin nelle sue componenti essenziali, e in spazio, fatto di linee e di parole viaggianti, nel tentativo, remoto, di giungere all’orecchio di un “Dio qualunque”. Volgendo direttamente allo spirito, l’ultima lirica esprime, quasi, con ritrovata speranza:

“Beati i miti / ché erediteranno la terra / e la vorrei questa terra / così da visitarne ogni
paese, / l’eternità a scoprire ogni sasso / ogni albero divenuto forma / storia e coscienza / da mano d’uomo, / racconto d’oneri, / ed onori di quotidiane / soluzioni e diletto.”

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